Di fronte alla fotografia aggiornata del sistema penitenziario italiano, non servono giri di parole: siamo di fronte a una crisi strutturale e culturale, resa ancora più evidente dall’incapacità o dalla mancanza di volontà del governo di affrontarla con strumenti adeguati. A fine giugno 2025, erano 62.728 le persone detenute, a fronte di una capienza effettiva di poco più di 46.700 posti. Il tasso nazionale di affollamento supera il 134%, ma in alcuni istituti la situazione è letteralmente fuori controllo: San Vittore femminile arriva al 236%, Foggia al 214%, Roma Regina Coeli sfiora il 200%. Una vergogna nota da tempo, ma ormai normalizzata. Lo Stato detiene le persone in condizioni che sarebbero inaccettabili persino per gli animali. Il cosiddetto “Decreto Carceri”, convertito nella legge 112/2024, prometteva soluzioni e reinserimento sociale. Di fatto, prevede solo due cose: l’istituzione di un elenco di strutture per l’accoglienza (ancora da costruire) e la nomina di un Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria con un piano da 7.000 nuovi posti. Un approccio che tradisce una logica puramente carcerocentrica: più spazi, più mura, più detenuti. Nessuna riforma profonda. Del resto, le parole del sottosegretario Delmastro sono chiarissime: i detenuti stranieri andrebbero “mandati a casa loro”, calcolando quanti milioni si risparmierebbero così. Peccato che i Paesi d’origine non abbiano accordi, né strutture, né la volontà di accogliere queste persone. È un discorso buono per la propaganda, non per la politica penale. Il fallimento più grave, però, riguarda il sistema penale minorile. I dati sono allarmanti: 586 ragazzi in carcere, di cui oltre il 60% minorenni e quasi l’80% ancora in attesa di giudizio. Un aumento del 50% in soli due anni, soprattutto dopo l’entrata in vigore del Decreto Caivano, che ha reso più facile arrestare i minori e più difficile accedere a percorsi alternativi. In alcuni Istituti Penali Minorili ci sono materassi a terra, igiene precaria, nessuna attività educativa, uso massiccio di psicofarmaci. A Bologna, addirittura, si è “ritagliata” una sezione minorile dentro un carcere per adulti, superando ogni limite di civiltà e diritto. La logica punitiva si sta imponendo anche dove il principio educativo dovrebbe essere sacro. Ragazzi senza sentenza vengono trattati come colpevoli, e chi compie un reato da minorenne viene spedito in carcere per adulti al compimento dei 18 anni, cancellando ogni progetto rieducativo. L’Italia ha già avuto una Commissione ministeriale seria, guidata dal prof. Marco Ruotolo e voluta dall’ex ministra Cartabia, per aggiornare il regolamento penitenziario vecchio di 25 anni. I lavori sono finiti nel nulla. L’associazione Antigone aveva contribuito con proposte chiare: più contatti con l’esterno, meno isolamento, prevenzione degli abusi, uso delle tecnologie, sorveglianza dinamica. Nessuna è stata raccolta. Perché la verità è questa: non c’è un progetto penale, solo slogan, decreti inefficaci e soluzioni tampone. E quando si ragiona solo in termini emergenziali, più carceri, più agenti, più punizioni, si dimentica l’essenziale: la pena deve servire alla rieducazione, come dice la Costituzione, non alla vendetta sociale. Il carcere, per come è oggi in Italia, non è solo inefficace. È in molti casi illegittimo, incivile e contrario ai diritti umani. Servirebbe il coraggio di invertire la rotta. Ma finché si continuerà a confondere giustizia con repressione, e reinserimento con debolezza, nulla cambierà. E a pagare saranno, come sempre, i più poveri, i più giovani e i più fragili.
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