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Il caso Ilaria Salis e il voto di Bruxelles: l’Europa che difende se stessa, ma non i cittadini.

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Con un solo voto di scarto, il Parlamento Europeo ha deciso di mantenere l’immunità parlamentare a Ilaria Salis, eurodeputata accusata in Ungheria di gravi reati. Un voto risicato, ma dal peso politico enorme. Ancora una volta, Bruxelles invia un segnale che divide: quello di un’istituzione pronta a difendere la propria struttura più che i principi di giustizia che dice di rappresentare. La decisione arriva in un clima già teso, in cui la fiducia dei cittadini europei verso le istituzioni è ai minimi storici. Eppure, bastano sessanta secondi di votazione per far riaffiorare il sospetto che a prevalere non sia il diritto, ma la politica delle convenienze. Un solo voto, uno soltanto, ha salvato Salis dal rischio di dover rispondere subito davanti ai giudici ungheresi. E quel voto, simbolicamente, pesa come un macigno sull’immagine stessa del Parlamento di Strasburgo. Certo, la questione non è semplice. Il caso Salis è delicato, intrecciato a diritti civili, garanzie processuali e rapporti complicati con il governo Orbán. Tuttavia ciò che lascia l’amaro in bocca è la sensazione che l’immunità sia diventata uno scudo politico, più che una tutela democratica. Una protezione concessa non per difendere un principio, ma per salvare un simbolo utile a certi equilibri di potere. Il Parlamento europeo appare sempre più come un luogo autoreferenziale, dove le decisioni vengono prese lontano dai cittadini, dai loro problemi reali e dalla loro idea di giustizia. Si parla di “Europa dei valori”, ma questi valori sembrano valere solo quando conviene. Peraltro, invece, di dare un segnale di fermezza, di trasparenza e di responsabilità, prevale il calcolo. E la distanza tra Bruxelles e la gente comune cresce ancora di più. Molti in Italia, e non solo, si chiedono cosa resti oggi della sovranità morale di un’Europa che difende se stessa, ma non sempre difende i principi che proclama. La vicenda Salis non è solo un fatto giudiziario, ma un termometro politico e simbolico. Misura quanto le istituzioni europee siano ormai percepite come un sistema chiuso, poco disposto a rendere conto, protetto da privilegi e procedure. Non è un invito all’uscita dall’Unione, ma una richiesta di verità. Di trasparenza, di coerenza e di coraggio. Perché se l’Europa vuole restare credibile, deve saper dimostrare che nessuno, nemmeno un suo rappresentante, è al di sopra della Legge. Altrimenti, a furia di proteggere se stessa, rischia di perdere ciò che la fonda: la fiducia dei cittadini. Forse è arrivato il momento di dirlo con chiarezza che serve un’Europa con la schiena dritta e capace di guardare in faccia i propri errori. Perché un solo voto può salvare un politico, ma può anche condannare un’istituzione intera alla perdita della propria credibilità.

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Cronaca · Opinioni · Politica europea

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