In un ufficio istituzionale, dove l’efficienza dovrebbe essere sinonimo di democrazia e accessibilità, accade spesso che proprio i primi volti della politica, quelli che accolgono, ascoltano, filtrano e smistano le richieste dei cittadini, siano anche i più deboli anelli della catena. È il caso, sempre meno isolato, di un giovane capo segreteria, appena venticinquenne, insediato in un ruolo che richiederebbe non solo organizzazione e lucidità, ma anche senso civico, empatia e capacità relazionali ben più mature di quelle che l’età anagrafica può garantire. La funzione di segreteria non è un semplice compito di front office, ma il primo momento di ascolto tra il cittadino e l’istituzione politica, il primo filtro di fiducia, l’ingranaggio essenziale che consente alla macchina pubblica di funzionare con ordine, tempestività e trasparenza. Eppure, proprio qui, si annida il cortocircuito. Nonostante la posizione occupata, che implicherebbe una responsabilità precisa nell’accogliere e annotare diligentemente le richieste di appuntamento con un assessore di un partito politico, questo giovane capo segreteria sembra vivere il proprio ruolo come una formalità decorativa, uno spazio di presenza più che di reale funzione. Le richieste dei cittadini non vengono registrate puntualmente, spesso dimenticate, altre volte archiviate mentalmente senza lasciare traccia né su agende né su calendari. Le persone, con le loro istanze, le loro urgenze, i loro bisogni di confronto con un rappresentante politico, vengono lasciate in sospeso in un limbo di attesa e disorientamento. Il risultato non è soltanto un danno pratico, ma un effetto ben più profondo, quello della disillusione. Il cittadino che si rivolge a un ufficio pubblico non chiede favori, ma esercita un diritto. Ignorarlo equivale a minare il principio stesso di rappresentanza politica. In questo comportamento superficiale e poco professionale, non vi è soltanto inesperienza, ma anche una componente psicologica da non sottovalutare. Si intravede una fragilità identitaria, forse legata a un desiderio mal riposto di appartenenza a un ambiente politico che viene vissuto più come status che come servizio. La scrivania del capo segreteria diventa così un piccolo palcoscenico su cui affermare un ruolo, più che svolgere un compito. L’insicurezza personale si maschera dietro l’indifferenza operativa. Non prendersi la responsabilità di trascrivere una richiesta diventa, in termini inconsci, un modo per non esporsi, per evitare il rischio dell’errore, ma anche per esercitare un piccolo potere, quello del diniego implicito, della dimenticanza strategica, del lasciar cadere nel vuoto ciò che non si è in grado di gestire. In fondo, è più facile ignorare che agire, soprattutto quando non si possiede ancora la struttura interiore per gestire le dinamiche complesse di un contesto politico. L’effetto è però devastante, perché da quella scrivania passa la fiducia, il primo contatto tra la politica e la realtà viva della società. Quando questo punto si inceppa, il cittadino percepisce subito che ciò che dovrebbe essere pubblico, in realtà, è diventato privato: non più un luogo di accesso, ma un muro silenzioso. Il problema, allora, non è solo individuale, ma sistemico. Chi affida ruoli chiave a figure inesperte senza offrire loro un’adeguata formazione e supervisione, commette un errore strategico. Un giovane può avere energia, entusiasmo, ambizione, qualità preziose, ma senza una guida e senza una consapevolezza dei doveri, quelle stesse qualità si trasformano in ostacoli. La responsabilità, peraltro, non è solo del singolo, ma anche di chi lo ha scelto, posizionato e, poi, lasciato a gestire un ruolo delicatissimo senza gli strumenti adatti. In una fase storica in cui la distanza tra cittadini e politica è già profonda, è inaccettabile che a scavare ulteriormente questo solco siano proprio i comportamenti negligenti di chi rappresenta, anche se indirettamente, il volto dell’amministrazione. Un capo segreteria che non ascolta, che non prende nota, che non restituisce un riscontro, sta negando l’essenza stessa della funzione pubblica. E finché questi atteggiamenti verranno tollerati, la politica continuerà a perdere la sua credibilità, pezzo dopo pezzo, silenziosamente, dietro una scrivania occupata eppure assente.

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