12 Gennaio 2021

Sala si è dimenticato del ponte di Cormano

Sala si è dimenticato del ponte di Cormano. A segnalarlo il consigliere di M5S Città Metropolitana di Milano Marco Carrettoni che ha depositato un’interrogazione per richiamare il sindaco metropolitano ai suoi doveri, perché a quanto pare Sala si è dimenticato del ponte di Cormano. Il consigliere di M5S Città Metropolitana di Milano Marco Carrettoni ha depositato un’interrogazione sul ponte sulla Sp35 Milano-Meda sito a Cormano in via Enrico Fermi al sindaco di Città Metropolitana Giuseppe Sala chiedendo le motivazioni del mancato ripristino e della messa in sicurezza del passaggio, il cronoprogramma degli interventi previsti e di visionare i certificati di idoneità statica. Luigi Piccirillo, consigliere regionale del M5S Lombardia, commenta: “Il ponte, dopo l’incidente del dicembre 2019 che ha visto un’auto sfondare le protezioni del viadotto e precipitare sulla superstrada non è ancora stato messo in sicurezza. Sul viadotto ci sono ancora le barriere new Jersey e le transenne a delimitare l’area danneggiata e mai ripristinata. Possibile che sia trascorso più di un anno senza che nessuno si sia preoccupato d’intervenire? Mi auguro che il sindaco di Città metropolitana Giuseppe Sala trovi il tempo per spiegare un ritardo non scusabile e solleciti l’avvio dei lavori di ripristino al più presto. È vergognoso che i beni pubblici siano lasciati in condizioni pietose”.

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Industria Italiana nel mirino delle femministe

Industria Italiana nel mirino delle femministe. Il direttore del giornale Filippo Astone è stato infatti costretto a precisare una sua posizione perché ha scoperto quanto può essere pesante il “pubblico ludibrio”. Ecco dunque il suo intervento esplicativo su come è finita Industria italiana nel mirino delle femministe: “Capita ogni tanto di essere fraintesi e di sottovalutare la logica del “pubblico ludibrio” connessa ai social network, che oggi domina i comportamenti di molti, anche al di fuori dei social network stessi. E’ successo a me, in qualità di direttore di “Industria Italiana”. La settimana scorsa, mentro ero in vacanza, ho ricevuto la mail di un gruppo di attiviste femministe che mi invitata a pubblicare un comunicato nel quale si auspicava l’aumento della quota del Recovery Fund che, nelle bozze, è destinata a sostenere la parità di genere. Invece di cestinarlo, ho fatto l’errore di rispondere, entrando nel merito. Ho risposto – spiegandomi male (mea culpa) mentre scrivevo dal cellulare – che non lo avrei pubblicato, perché sono contrarissimo a destinare quote del Recovery Fund a questo tipo di iniziative. A mio avviso quei fondi dovrebbero esclusivamente servire a incentivare (in forme non di sussidi e non lesive della concorrenza) attività industriali e tecnologiche che permettano una crescita dell’economia a medio termine. Crescita che era già indispensabile prima della pandemia, e che adesso è diventata vitale. Per far fronte all’emergenza, infatti, il debito pubblico italiano passerà da 2000 a circa 2500 miliardi, un ammontare che renderà insostenibili gli interessi se non ci sarà una decisa crescita economica. E se gli interessi saranno insostenibili, nel giro di qualche anno, purtroppo, ci ritroveremo in una situazione peggiore di quella che ha prodotto il Governo Monti, con conseguenze tragiche e una macelleria sociale che si porterà via il welfare, la scuola, le pensioni e i diritti sociali. E che danneggerà anche quelle pari opportunità che tutti – a partire dal sottoscritto – auspicano con forza. Per questo, gli sforzi andrebbero concentrati su ciò che produce sicuramente crescita economica, lasciando perdere non solo pari opportunità, ma anche contributi al Sud e alle fasce svantaggiate. E finanziando la sanità non col Recovery ma col Mes, che è ben più potente ed efficace. Apriti cielo. La risposta è stata travisata, pubblicata (era una mail privata….. bisognerebbe chiedere il permesso… così si dovrebbe fare) e io sono stato messo alla berlina come anti-donne. Ma nulla di tutto questo è vero. Giusto per chiarire con gli amici e i lettori: 1) Il sottoscritto e Industria Italiana sono convinti che le pari opportunità siano un tema serio e importante per l’economia e la società italiana. e che meritino iniziative e politiche valide. 2) Le iniziative volte a favorire l’avvicinamento delle ragazze alle materie Stem sono importantissime. Noi abbiamo fatto di tutto (da giornalisti) per sostenerle e lo faremo ancora. 3) La logica delle “quote rosa” applicata al business, in varie forme, ci lascia estremamente perplessi. Non piace a noi, così come non piace ad autorevoli imprenditrici e persino a filosofe femministe come Michela Marzano, della quale, per inciso, il sottoscritto divora avidamente ogni libro e articolo. 4) Non date retta, se per caso vi ci imbattete, ai commenti su di noi apparsi su un certo sito femminista 5) La prossima volta mi guarderò bene dal rispondere a certe mail. Mea culpa. Mea culpa. Mea maxima culpa 6) Viva le donne!!

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Il ritorno del impero ottomano: Erdogan e l’Europa

Il ritorno del impero ottomano: Erdogan e l’Europa. La Turchia è un paese strategico: è un’arma a doppio taglio per noi e per i partner europei. Le relazioni economiche italo-turche sono sane ma a tratti insoddisfacenti, paesi che collaborano a una serie di progetti e firmano partnership in diverse materie, ma culturalmente diversi. L’opinione sulla Turchia, negli ultimi anni, è variata notevolmente: è il nemico del mediterraneo, considerata dalla Grecia pericolosa e inaffidabile, protagonista di scenari controversi con la Francia di Macron. Allo stesso tempo, in un quadro internazionale e storico, i rapporti Italo-turchi, hanno radici ben profonde, dalla fondazione di Costantinopoli nel 330 d.C fino al 1453 data che segnò il crollo dell’impero romano d’Oriente. Da lì fino ai giorni nostri gli scenari si sono evoluti inesorabilmente. Tutte le volte che notiamo una qualsiasi mossa da parte di Erdogan, inizia una polemica mediatica, uno scetticismo sociale, puntiamo il dito contro un nemico di cui, in realtà, non se ne può fare a meno, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista strategico. Se osserviamo bene la Turchia notiamo come la sua posizione strategica, tra Siria, Grecia, Iraq, Georgia e Armenia, riesce a mettere in grave difficoltà le decisioni e le mosse da parte dell’Europa, che da un lato vorrebbe intervenire in modo severo, più di quanto agisce attualmente, allo stesso tempo si sente particolarmente accerchiata dai players che corteggiano la politica turca, come Putin o Haftar in Libia (nella parte non riconosciuta dalle organizzazioni internazionali). Cercando di ricostruire, per quanto sia possibile, i legami storici italo-turchi, possiamo citare la costruzione della torre Galata, manodopera dei genovesi di Istanbul nel 1348, la torre più alta della città, tramite cui i costruttori italiani ringraziano e riconoscono i privilegi offerti in Turchia prima dell’arrivo di Mohamed II. Il pittore Zonaro, al quale, noi italiani abbiamo dedicato nel novembre 2005 una grande mostra presso il Palazzo di Dolmabahce ad Istanbul, nominato “pittore di corte” dal Sultano Abdul Hamid II e molto altro.  Insomma, si tratta di rapporti storici e fondamentali ma anche molto antichi e celati dalla stessa ideologia politica e sociale europeista. L’estraneità che riscontriamo di fronte alla cultura di Erdogan scuote il nostro animo così tanto da respingere, sottovalutare, dimenticare la storia stessa e le radici che legano il nostro territorio al loro. È indiscutibile: i legami con la Turchia devono essere revisionati, i comportamenti che sta assumendo sono ingiustificabili, sia nei confronti della Francia e Grecia, sia nella tutela dei diritti umani. Allora dobbiamo trovare una strategia che sia adatta al nostro paese e che abbia una visione ampia e intelligente così da evitare una partnership vuota, inutile e che non tuteli i cittadini. La Francia di Macron, a seguito di eventi che hanno sconvolto lo scenario politico sociale, come il caso Charlie Hebdo 2015 e i crudeli attentati tra Nizza, Parigi e altre zone, hanno fatto sì che la Turchia diventasse il suo peggior nemico. Il dinamismo con cui la Francia si muove negli ultimi tempi sulla scacchiera internazionale rende Parigi il perno centrale degli umori europei, sfrutta il dialogo per consolidare i suoi rapporti e assume il ruolo di mediatore per colmare dei vuoti internazionali molto rilevanti. Insomma un’ampia visione dell’Europa che Macron conosce molto bene così da crearsi amici e inevitabilmente nemici. C’è un limite a tutto ciò: la Turchia di Erdogan, un ostacolo onnipresente, un nodo difficile da sciogliere. La Francia ha dovuto adottare il cd. separatismo islamico: una legge dura che promuove ancor di più il principio di laicità e scissione con la religione estremista; oltre il principio di laicità negativa che vige da tempo, cioè una profonda scissione tra il mondo religioso e il mondo civile. La scorsa estate si crearono forti ansietà: una nave turca venne inviata in Grecia al fine di effettuare esplorazioni per ricerche di idrocarburi, da quel momento si creò una tensione tra Grecia, appoggiata dalla Francia, e Turchia. Atene condannò l’atto come minaccia alla pace e sicurezza internazionale, definendo la Turchia un paese inaffidabile e poco serio. Insomma un gioco tra grandi potenze che revoca il ricordo del 1920 con il trattato di Sevres che stabiliva la pace tra impero ottomano e le potenze alleate, trattato abrogato e sostituito con il trattato di Losanna nel 1923, quando già “l’impero ottomano” era solo un ricordo ma la Turchia occupava uno spazio non indifferente nel mondo e nel Mediterraneo. Allora c’è da chiedersi: l’impero Ottomano sta strategicamente ritornando?  

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Twitter-Libero: nazionalizzare i social o smetterla con polemiche inutili

Twitter-Libero: nazionalizzare i social o smetterla con polemiche inutili. Siamo tutti d’accordo che è brutto quando la libertà di espressione viene intaccata, perché sulla libertà di parlare (pure di straparlare) si base gran parte della cultura europea moderna. E allora la decisione di Twitter di limitare l’account del quotidiano Libero è senz’altro negativa come principio ma la nostra posizione resta sul caso Twitter-Libero: nazionalizzare i social o smetterla con polemiche inutili. Twitter come tutti i social è un’azienda privata, con regolamenti precisi che vengono sottoscritti. E’ vero che quasi nessuno per una deformazione mentale guarda cosa sta firmando, ma ciò non esime dalle proprie responsabilità: le regole dicono che se ti comporti in un certo modo, possono chiuderti il profilo. Contestabile? Forse. Ma Libero, come il Manifesto e tanti altri si sono spesso comportati come l’amico che per non sentirsi oppresso dalle regole dell’ospitalità pretende di urinare nel lavandino e non in bagno per confermare la sua libertà di agire come gli pare. Certi titoli e certi articolo vengono scritti apposta per dare scandalo, inutile e disonesto negarlo. E noi siamo convinti che facciano bene. E che debbano farlo. Ma non che possano pretendere di imporre ad altri ciò che non accetterebbero per loro. A meno che non si cambino le regole e gli Stati tornino a una logica più da Stati e impongano il controllo sui social alle aziende. La Cina non è si è posta il problema: qualunque contenuto internet è sotto il controllo statale perché lo Stato presidia lo spazio virtuale così come presidia le frontiere. Certo è pericoloso, perché la deviazione degli Stati dal controllo per la giustizia a quello per l’ingiustizia è facile. Però avremmo dei veri responsabili. Chi degli indignati conosce il nome degli amministratori o dei proprietari di Twitter?  Quasi nessuno. Allora il problema forse è aver delegato la propria libertà di espressione ad aziende private, pretendendo che si comportino come una proprietà statale. Tra l’altro tralasciando sempre che le suddette aziende non esistono per garantire la libertà di espressione, ma per ottenere dati sulle persone e venderli ad altre aziende. Ma anche questo si scontra con l’imbecillismo del dibattito pubblico. Quindi di cosa stiamo parlando?

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De Corato torna in Consiglio Comunale promettendo battaglia

“Oggi sono tornato a far parte del Consiglio Comunale di Milano come consigliere di Fratelli d’Italia”, commenta l’Assessore Regionale alla Sicurezza Riccardo De Corato, promettendo battaglia: “Certamente, soprattutto in vista delle elezioni, farò le pulci al Sindaco della città, Giuseppe Sala, su precise tematiche come le moschee, la sicurezza, le periferie, la mobilità e l’ambiente. Tutti questi temi, molto delicati, nel capoluogo lombardo hanno registrato il fallimento delle politiche del centrosinistra, prima con Pisapia e poi con Sala. Altrettanto certamente – sottolinea – darò il mio contributo alla Città mettendo a disposizione tutta la mia esperienza. “Già nel corso del Consiglio Comunale odierno – annuncia – ho posto una problematica che i residenti mi segnalano da tempo: il campo nomadi abusivo di via Vaiano Valle ed ho richiesto il suo sgombero. Si tratta di una zona ormai lasciata alla mercè di delinquenti, ladri, ricettatori. Il Comune – conclude – l’unico intervento che ha fatto, è stato quello di realizzare una pista ciclabile, incurante di tutto quello che la circondasse: discariche abusive e carcasse di macchine rubate”.

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Verdi alleati di Sala per una svolta Green

“Il confronto con Sala, durante la sua sindacatura, non è mai mancato  nemmeno nei momenti di divergenza su alcuni specifici temi cittadini, divergenze che non mettono in discussione la capacità di Sala come guida della città più innovativa d’Italia e di statura europea. Il confronto, nelle ultime settimane, è stato più che mai serrato: non è in gioco il successo di questa o quella formazione politica, ma l’occasione storica, grazie anche al Future Generation EU, di imprimere un’accelerazione alla trasformazione in senso ecologista della città, di avere le risorse per concretizzare visione e valori”. scrivono in un post sulla loro pagina Facebook i Verdi di Milano. “Il contributo di noi Verdi – sottolineano – che su questi temi abbiamo storicamente competenza e molte professionalità impegnate attivamente, è un valore che ci impegniamo a mettere sul tavolo nell’interesse del bene comune. Noi Verdi manterremo comunque le nostre posizioni sulle istanze su cui abbiamo posto l’attenzione fino a oggi, perché la riqualificazione urbana sia un vero patrimonio dei cittadini”. “È il momento di aprire una fase nuova e importante – aggiungono – bisogna unire le forze del cambiamento e lavorare a un progetto comune; da Verdi riteniamo di essere la forza politica che può fare la differenza. Ora – concludono – lavoriamo per portare la lista di Europa Verde a un grande risultato elettorale alle prossime amministrative, per dare un peso determinante alla nostra voce e nelle scelte politiche per Milano, per la salute delle persone, per la giustizia sociale e per la giustizia ambientale, al centro del progetto di una Milano sostenibile”.  

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