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Salvini a Macron: “Taches al tram”. Il leader leghista sfida l’Europa a colpi di dialetto e retorica anti-bellica.

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Con la consueta miscela di provocazione populista e linguaggio da piazza, Matteo Salvini ha colpito ancora. Questa volta l’obiettivo è Emmanuel Macron, presidente della Repubblica francese, reo, secondo il leader della Lega, di voler spingere l’Europa in un coinvolgimento diretto nella guerra in Ucraina. A Milano si direbbe: “Taches al tram”, ha dichiarato Salvini. Poi l’affondo: “…vacci tu se vuoi, ti metti il caschetto, il giubbetto, il fucile e vai in Ucraina…”. Le parole, pronunciate in un contesto pubblico e immediatamente rilanciate dai media e dai social, hanno il sapore di una dichiarazione pensata più per il consumo interno che per la diplomazia internazionale. Ma non per questo sono meno gravi, anzi mettono nero su bianco lo scollamento crescente tra le anime del centrodestra italiano e le linee europee sul conflitto russo-ucraino. E aprono un nuovo fronte polemico in una fase già segnata da profonde tensioni geopolitiche. Macron, nelle settimane precedenti, ha espresso più volte l’idea che l’Unione Europea non possa escludere in futuro un intervento militare diretto se la situazione sul campo dovesse precipitare a favore di Mosca. “L’Europa non può permettersi che la Russia vinca”, ha detto in diverse interviste. Un approccio che ha sollevato allarme anche in ambienti governativi italiani, ma che Salvini ha scelto di respingere con un linguaggio che oscilla tra il folclore e l’insulto. Il termine “Taches al tram”, espressione dialettale milanese traducibile in “attaccati al tram”, usata per liquidare qualcuno con tono sprezzante, non è casuale. È un codice identitario ed è usato per rinsaldare la base leghista, con il linguaggio della “gente comune” e a segnare una distanza dal linguaggio istituzionale con quello diplomatico. Peraltro, dietro la battuta si nasconde un impianto ideologico più profondo con il rifiuto netto del protagonismo militare europeo e della subordinazione alle dinamiche atlantiche. Non è la prima volta che Salvini prende posizione in questo senso. Già all’inizio del conflitto aveva definito le sanzioni alla Russia “un boomerang”, attirando su di sé critiche trasversali, anche all’interno della maggioranza. E se negli ultimi mesi il vicepremier ha mantenuto un profilo più basso in politica estera, oggi torna a sfidare apertamente non solo Macron, ma l’intero assetto europeo. La provocazione arriva in un momento strategico. L’Italia si prepara alle elezioni europee del 2026, e Salvini, in crisi di consensi da mesi, cerca di riaffermare la sua identità “dura e pura” in un centrodestra sempre più a trazione meloniana. Il suo obiettivo è chiaro, fare la differenza da Giorgia Meloni, pur sostenendo la causa ucraina, mantenendo un profilo più istituzionale e compatto con Bruxelles. Salvini, peraltro, vuole rispolverare il suo ruolo di “guastatore” dell’Unione, già sperimentato ai tempi del governo Conte I. La risposta dell’Eliseo, al momento, è stata il silenzio. Tuttavia nel quadro diplomatico, le parole di Salvini non passeranno inosservate. Il rischio è che contribuiscano ad alimentare la percezione di un’Italia poco affidabile, ambigua sulle questioni strategiche, e costantemente in bilico tra atlantismo e sovranismo. Anche all’interno del panorama politico italiano, non sono mancati i distinguo. Infatti, esponenti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle hanno accusato Salvini di “mancanza di responsabilità istituzionale” e di “strumentalizzare un conflitto drammatico per ragioni elettorali”. Più cauti i centristi di Forza Italia, che preferiscono concentrarsi sul “ruolo equilibrato” del Governo nella gestione della crisi Ucraina. E Salvini, probabilmente, ha già ottenuto ciò che voleva: attirare l’attenzione, polarizzare il dibattito e riposizionarsi come leader di rottura. In un’epoca in cui il consenso si misura in click di cuoricini e di influencer capaci di generare interesse, anche con un’espressione dialettale può diventare strategia politica.

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