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Un eroico equipaggio: il valore del dovere e del coraggio nello Stato moderno

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Il 2 agosto 1993, a Lentate sul Seveso (Milano), il V. Brigadiere Claudio Risino nato a Noto (SR) e il Carabiniere Mauro Baccoli nato a Brescia, si trovarono improvvisamente al centro di una situazione ad altissima pericolosità con una rapina a mano armata presso un ufficio postale. La reazione di questi due militari dell’Arma dei Carabinieri non fu dettata dall’istinto, ma dalla formazione, dal senso del dovere e da un coraggio consapevole. Intervennero prontamente, ingaggiando un conflitto a fuoco con i malviventi. Il bilancio fu di un rapinatore ucciso, uno ferito, il terzo arrestato e la refurtiva recuperata. Un’azione che valse loro, in vita, la Medaglia d’Argento al Valor Militare, un’onorificenza che riconosce l’eccezionalità del gesto, ma più profondamente, il valore del servizio pubblico quando è incarnato nella sua forma più pura. L’Italia dei primi anni ’90 era attraversata da profondi turbamenti. La criminalità comune, come le rapine armate, si affiancava alla minaccia sistemica della criminalità organizzata e a quella terroristica. In questo scenario, le forze dell’ordine rappresentavano uno dei pochi presìdi visibili e concreti dello Stato. Agire in prima linea significava ogni giorno esporsi a rischi enormi, in un clima sociale e istituzionale spesso instabile. L’intervento di Risino e Baccoli non fu peraltro un gesto isolato, ma un esempio tra i tanti del ruolo silenzioso e fondamentale che le forze dell’ordine svolgevano (e svolgono tuttora) nella tutela della sicurezza pubblica. Il coraggio non è mai senza paura, ma è capacità di agire, nonostante la paura. Ciò che rende eroico un gesto non è solo l’atto in sé, ma la consapevolezza del rischio che comporta. L’azione dei due carabinieri fu una decisione presa in pochi secondi, frutto di preparazione professionale e di una profonda interiorizzazione di valori come l’onore, il senso del dovere e la responsabilità verso i cittadini. A distanza di trentadue anni, ricordare quel gesto non è solo un esercizio di commemorazione, ma un atto di responsabilità collettiva. Le storie come quella di Risino e Baccoli servono a rafforzare il legame tra istituzioni e cittadinanza, a risvegliare la coscienza civile e a ricordare che la democrazia si regge anche sul sacrificio di chi lavora nell’ombra, spesso senza clamore, ma con assoluta dedizione. La memoria pubblica, se non viene coltivata, tende all’oblio. E quando dimentichiamo chi ha agito con valore per difendere il bene comune, diventiamo più vulnerabili come società. L’intervento del 2 agosto 1993 non fu soltanto un’operazione di “polizia” riuscita. Fu un momento emblematico in cui il coraggio individuale si è fuso con la missione dello Stato, dimostrando che anche nei momenti più bui esistono, uomini capaci di elevarsi al di sopra della paura per proteggere gli altri. A Claudio Risino e Mauro Baccoli non dobbiamo solo gratitudine: dobbiamo l’impegno a preservare la memoria, a rispettare chi è al servizio della Comunità e a non banalizzare mai il valore del sacrificio. In un’epoca in cui le istituzioni sono spesso oggetto di sfiducia o superficialità, ricordare i loro nomi è un atto politico, civile e morale.

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Milano - Lentate

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