Ancora una volta la parola corruzione torna a macchiare le cronache di Roma. Un nuovo scandalo, un altro giro di nomi, intercettazioni, dimissioni e silenzi. Eppure, la sensazione è sempre la stessa: che nulla cambi davvero. Come umile persona, non posso tacere davanti a un fenomeno che, ormai, non è più un’eccezione, ma una consuetudine. Ogni volta che un’inchiesta tocca i palazzi del potere, la risposta è sempre la stessa: “fiducia nella magistratura”. Ma quanta fiducia può chiedere un Paese che sembra aver smarrito il senso stesso dell’etica pubblica? Non è più solo un problema di singoli. È un sistema che tollera, protegge e perfino normalizza comportamenti che dovrebbero essere inaccettabili. Un sistema che considera “abilità politica” ciò che, in realtà, è solo l’arte di eludere le regole. La corruzione non è solo un reato: è una ferita morale, un veleno che si insinua nella fiducia dei cittadini e la corrode lentamente. Ogni volta che un funzionario accetta un favore, ogni volta che una decisione pubblica viene piegata a un interesse privato, la democrazia perde un pezzo di sé. Serve un cambio di paradigma. La trasparenza non può essere uno slogan da campagna elettorale, ma una regola di comportamento quotidiano. Deve diventare la condizione minima per chiunque ricopra un incarico pubblico. Non ci interessa il nome, il partito, o il colore politico dell’indagato: ci interessa il principio. E il principio è semplice: senza integrità, non c’è istituzione che possa dirsi giusta. E chi rappresenta i cittadini deve farlo con onestà, senza zone grigie e senza compromessi morali, perché la credibilità di un Governo, di una Regione e di un Comune non si misura dai proclami, ma dalla pulizia dei propri comportamenti. La corruzione non si combatte solo con le Leggi, ma con l’esempio, con la formazione, la cultura della responsabilità e il coraggio civile di chi sceglie la trasparenza anche quando costa caro. È tempo di ricostruire un’etica pubblica condivisa, un nuovo patto di fiducia tra istituzioni e cittadini. Un patto basato su tre parole semplici, ma decisive: onestà, merito, giustizia. Solo così potremo dire, un giorno, che Roma, e con essa l’Italia, non è più la Capitale della corruzione, ma della rinascita civile.

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