guerra

A Milano c’è preoccupazione dopo l’attacco di Hamas in Israele

La guerra in Israele, scoppiata dopo un attacco a sorpresa di Hamas, ha conseguenze dirette anche sulla comunità ebraica sparsa per il mondo. E anche a Milano, dove nelle ultime ore sono state alzate al massimo livello le misure di sicurezza relative a tutti i possibili obiettivi ebraici in città e provincia e su tutti gli eventi della comunità o a cui partecipano loro esponenti. La scelta arriva su indicazione del ministero dell’Interno e sabato a Milano si è svolta una riunione in prefettura presieduta dal prefetto Renato Saccone, con il questore Giuseppe Petronzi, i comandanti provinciali di carabinieri e guardia di finanza, la comunità ebraica e un rappresentante del contingente di Strade sicure, per decidere di rafforzare i presidi di sicurezza in città e provincia. Una misura precauzionale che interessa potenziali obiettivi come ad esempio la Sinagoga, il Memoriale della Shoah, la scuola ebraica. È stata alzata la vigilanza su tutto il territorio nazionale a tutela degli obiettivi ritenuti sensibili, con particolare riguardo a quelli religiosi, culturali e commerciali degli ebrei in Italia. Il punto sulla situazione è stato fatto sabato a Palazzo Chigi. La premier Giorgia Meloni ha convocato i ministri e i vertici dell’intelligence per fare il punto della situazione. Erano presenti i ministri di Esteri, Interno e Difesa, Antonio Tajani, Matteo Piantedosi e Guido Crosetto, l’Autorità nazionale per la sicurezza della Repubblica, il sottosegretario Alfredo Mantovano, il consigliere diplomatico della premier, l’ambasciatore Francesco Maria Talò, i direttori dei servizi, Elisabetta Belloni (Dis), Giovanni Caravelli (Aise) e Mario Parente (Aisi). “Il governo – si legge in una nota di Palazzo Chigi – segue con preoccupazione l’evolversi della situazione, in stretto collegamento con le istituzioni europee e con gli alleati. Particolare attenzione viene rivolta alla sicurezza della comunità ebraica presente sul territorio nazionale”.

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Amato ha vinto i referendum, ora la guerra

Amato ha vinto i referendum, ora la guerra. Perché se uno è bravo nel suo lavoro, difficilmente smette. Il sempre verde Amato è infatti un rappresentante di quella schiera di italiani che ha l’età della pensione da diversi decenni. Probabilmente è nato già maggiorenne. A parte le battute, in effetti Amato è sempre presente sulla scena pubblica. Nessuno ha capito bene per quale motivo, forse perché sa prestarsi a fare il lavoro “sporco” per lo Stato. Come quando per mettere a posto i conti pubblici sottrasse nella notte i soldi dai conti degli italiani. Robe da governo del terzo mondo, in teoria. Ma nonostante tutto la sua carriera non si è spenta nell’ignominia, anzi: è sempre uno dei più stimati uomini di Stato. Molto capace, molto competente, molto pensionato (ne ha già accumulate diverse tanto che le regala), molto freddo e distaccato. Amato ha vinto i referendum perché con un colpo di genio burocratico ha deciso insieme alla Corte costituzionale che erano scritti male gli unici due quesiti che interessavano alla maggioranza della popolazione. Così lui ha stabilito di fatto che sarebbe fallito il referendum perché gli altri quesiti erano interessanti per poche persone. Sempre importanti, ma comunque una minoranza. E infatti Salvini ha collezionato l’ennesima sconfitta (vai così Mattè). Ora però ci aspettiamo lo stesso distacco nel portare l’Italia in guerra: il buon Amato sta lavorando da qualche settimana sulla lettura della nostra Costituzione, perché in teoria siamo pacifisti, però lo Stato ha necessità di entrare in guerra. Ed ecco rispuntare quel fenomeno di Amato pronto a dire che in fondo la Costituzione è pacifista sì, ma  non così tanto. Perché in fondo la parola guerra c’è e non è esclusa del tutto, perché c’è l’opzione difensiva. Peccato che la Russia abbia invaso l’Ucraina e non l’Italia, ma di questi tempi vale tutto. Basta avere un Amato in tasca, stando attenti al portafogli però.

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The Story Lab presenta “La guerra e la Rete”: un’analisi delle conversazioni online a un mese dall’inizio del conflitto Russia-Ucraina

The Story Lab presenta “La guerra e la Rete”: un’analisi delle conversazioni online a un mese dall’inizio del conflitto Russia-Ucraina. La full-creative advertainment agency di dentsu italia riassume in un paper le tematiche più discusse sui social relativamente alla guerra e offre uno sguardo ai personaggi chiave della crisi dal punto di vista dei trend di ricerca e dei volumi di conversazione. Come reagisce la Rete alla prima crisi su suolo europeo sviluppatasi dopo la nascita dei social network? Quanto l’impatto della guerra condiziona gli italiani? E in che relazione si pone questa nuova crisi rispetto alle ondate pandemiche immediatamente precedenti? The Story Lab, la full-creative advertainment agency di dentsu italia guidata dal CEO Stefano Pagani, ha analizzato lo scenario del conversato digitale per identificare le correnti di pensiero, lo stato d’animo e le paranoie degli italiani in questo momento storico. Il paper “La guerra e la Rete” analizza i dati di ascolto online nel primo mese di guerra, identifica 6 topic di conversazione principali, tra cui il confronto tra i personaggi di Putin e Zelensky e il “fenomeno Anonymous”, per arrivare poi alle conclusioni utili per navigare l’incertezza di questo momento storico. Scarica il paper: https://thestorylab.it/pdf/La_guerra_e_la_Rete.pdf “A un mese dall’inizio del conflitto, le discussioni in rete ci mostrano l’oscillazione dello stato d’animo (e dell’interesse) degli italiani. Per le persone, ricostruire una visione d’insieme chiara e univoca sembra impossibile” commenta Samanta Giuliani, Executive Strategy Director di The Story Lab “Tra le altre cose, i dati che abbiamo raccolto ci ricordano il pericolo di arrivare troppo velocemente a una saturazione di informazioni e stimoli su un argomento. L’essere umano non riesce a rimanere in uno stato di ansia o paura troppo a lungo: fisiologicamente, più un fenomeno si dilata nel tempo, più siamo programmati per perdere interesse”. Sul tema Ucraina, The Story Lab rende disponibile online anche il paper “Brand Activism in tempo di guerra” dedicato alla posizione che i brand stanno tenendo in questo contesto di guerra. Scarica il paper: https://thestorylab.it/pdf/Brand_Activism_Guerra.pdf   The Story Lab Con 120 professionisti e più di 60 clienti attivi, The Story Lab è la full creative advertainment agency di dentsu italia guidata dal CEO Stefano Pagani. Parte di un network presente in 23 paesi in tutto il mondo, The Story Lab guida le aziende e il loro business nell’intercettare le Cultural Waves, l’insieme di segnali culturali, sociali e di mercato che possono alimentarne popolarità ed efficacia, offrendo una serie di prodotti e soluzioni full service che coprono qualunque ambito del processo creativo e strategico: produzione di strategie di posizionamento e campagne integrate, social media strategy, influencer marketing ed una produzione in house di branded content e video strategy. Dentsu International Dentsu aiuta le aziende a ottenere un progresso che conti davvero per il business, grazie all’acquisizione di nuovi clienti, il mantenimento e la crescita di quelli attuali. Dentsu offre un’innovativa e distintiva serie di prodotti e servizi nel media, nel CXM e nella creatività; opera in 145 Paesi con oltre 45.000 specialisti dedicati. Fanno parte di dentsu italia: Carat, dentsu X, iProspect, Isobar, MKTG, The Big Now/mcgarrybowen e The Story Lab. Il gruppo in Italia è composto da 1.000 professionisti che operano nelle sedi di Milano e Roma.

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La voglia di guerra di chi sta sul divano

La voglia di guerra di chi sta sul divano. C’è e la si sente in continuazione. Dobbiamo dare le armi all’Ucraina, Putin è un criminale di guerra, la Nato deve intervenire, eccetera: i messaggi bellici si moltiplicano senza soluzione di continuità, ma il bello (o brutto) è che a veicolarli sono quelli nei salotti televisivi. Oppure direttamente nel loro salotto di casa. E i loro figli, quando hanno trovato qualcuno con cui metterli al mondo, sono ben lontani dal fronte. Perché il messaggio della grancassa mediatica ora impone di odiare i russi come non mai. C’è chi solo in quanto russo non ha potuto tenere lezioni letterarie nelle università, come c’è chi si è trovato colpito dall’odio collettivo senza essere né militare né tantomeno impegnato politicamente a favore della Russia. Perché l’aspetto peggiore di questi tempi è la velocità con cui la maggioranza (per fortuna relativa) delle persone nel così chiamato Occidente è pronta a odiare. I boomers danno questa responsabilità ai social network, ma se avessero aperto i libri di storia saprebbero che le persone non hanno mai avuto bisogno dei social per uniformarsi a un pensiero comune aggressivo. Un esempio molto valido in questo senso è l’Onda, dove si spiega bene la tendenza all’omologazione. Gli investimenti in formazione culturale servono proprio a questo: digerire socialmente le novità come i progressi tecnologici e sociali e, soprattutto, a non farsi travolgere ogni volta dal pensiero unico trasmesso dagli Stati sui vari canali. Un altro esempio del problema sono i numeri sulle vittime civili della guerra in Ucraina: solo alcune decine di migliaia a seconda delle stime dei contendenti, ma hanno già tutti dimenticato le centinaia di migliaia di iracheni e siriani (sempre “civili”) decedute sotto le bombe e le armi dei “liberatori” occidentali? E i bambini afghani fatti scoppiare come petardi da “errori” della stessa coalizione che porta da decenni pace a suon di città rase al suolo? Tutto dimenticato, perché ora i tg continuano a sparare titoli sempre più aggressivi sull’Ucraina, assurta improvvisamente a unica guerra del mondo. Nonché la peggiore in Europa secondo il pensiero unico, con buona pace dei serbi le cui città sono state bombardate allegramente con munizioni all’uranio impoverito che hanno causato la leucemia pure ai soldati italiani parte della coalizione che stava fermando Milosevic. Citiamo le bombe con l’uranio, perché uno degli ultimi aggiornamenti sui giornali dell’ansia è quello delle “armi al fosforo” visto che proprio tutti i giorni non si può pressare sulla paura delle bombe nucleari russe. Insomma, siamo immersi in un mondo di mezze verità, con una serie di salottieri con l’elmetto trasformabile rapidamente in lampada alla moda che spingono verso la trincea i giovani. Forse perché pensano di risolvere così il problema della disoccupazione giovanile e dei poveri che insistono ad esistere. La voglia di guerra di chi sta sul divano sarebbe giustificabile solo se il loro sangue fosse in prima linea, invece siamo condannati a questa triste versione di 1984 dove gli attori di questa commedia a rischio tragedia sono infinitamente più scarsi di quelli tratteggiati da Orwell.

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Come piccole formiche contro la guerra

Come piccole formiche contro la guerra. Perché in questi giorni si sta muovendo qualcosa nell’Occidente che si è svegliato debole, diviso e soprattutto impaurito. In tantissimi corrono da un pensiero ansiogeno all’altro, chi per l’economia, chi per le centrali nucleari, chi incita alla guerra e chi alla pace con uguale virulenza. Tutti come presi da un sogno o dall’illusione che gli appelli via social, le analisi di persone irrilevanti o le citazioni senza verifiche che vanno per la maggiore possano davvero destare l’interesse di qualcuno. Un mondo onirico la cui vita ha l’unico effetto di non far vivere la realtà: l’immersione in questa dimensione ultraterrena ha infatti pochissime eccezioni di persone che invece di parlare si sono messe in moto. Chi ha deciso di partire per l’Ucraina da solo, chi in compagnia e con pacchi di generi di prima necessità e chi con qualche organizzazione umanitaria. Noi non siamo partiti perché rifiutiamo il coinvolgimento nell’ennesima guerra (già non è affatto la prima di questo periodo storico), ma non possiamo ignorare ciò che sta succedendo: decine di migliaia di persone si stanno riversando in Italia, Paese di cui si può dire tutto il male del mondo ma non che qualcuno lo stia bombardando. Sono gli stessi che importavamo per  curarsi dei nostri anziani allontanati dalle famiglie come un peso morto, gli stessi che pulivano i nostri cessi con l’edulcorato ruolo di “collaboratori domestici”. A queste persone insomma, sentiamo di dovere qualcosa: il rispetto. Ecco perché abbiamo messo a disposizione della Prefettura un piccolo appartamento frutto dei risparmi di tre generazioni. E vi invitiamo a fare altrettanto: vorremmo farci portatori di un’opportunità nei confronti dello Stato che si sta organizzando per accogliere i 40mila che già sono arrivati in Italia. Se voi lettori sentite ciò che sentiamo noi e volete unirvi a questo spirito fattivo tipico di Milano e della Lombardia, vi chiediamo di inviarci una mail a direttore@osservatoremeneghino.info con l’indirizzo e la descrizione degli spazi che potreste mettere a disposizione per i profughi ucraini. Saremo una rete di privati che dimostra come in questa società decadente ci siano ancora delle energie vitali, una rete di milanesi e lombardi che una volta di più dimostrano quanto i caratteri descritti dal Manzoni non sono solo una serie di definizioni ben riuscite, ma lo spirito di un popolo che ha ancora un’anima. Il fare è nel DNA dei lombardi, per parlare e basta c’è già tantissima gente. Noi agiremo come piccole formiche contro la guerra, cercando di costruire qualcosa anche se ci costa fatica, perché è giusto e questo lungo inverno della ragione deve finire.

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Corteo femminista contro la guerra

Un corteo dal piazzale antistante la Stazione Centrale fino a piazza Duomo per dire no alla violenza, chiedere il rispetto delle donne e dei loro diritti ed esprimere solidarietà al popolo e alle donne ucraine che sono in guerra. Migliaia le persone che nel giorno della Festa della donna hanno partecipato a Milano al corteo promosso dalla realtà femminista ‘Non una di meno’. Molti sono arrivati in piazza con le bandiere della pace e vestendo i colori della bandiera ucraina perché il corteo, come hanno spiegato gli organizzatori, voleva esprime un netto “no ai conflitti militari, espressione massima della violenza sui corpi delle persone e dei popoli”. In corteo c’erano persone di tutte le età, giovani, studenti, famiglie, tante donne ma anche uomini, i centri anti violenza. Ad aprire il corteo, un grande striscione contro la guerra ‘Stop the War’. All’altezza di corso Buenos Aires alcune attiviste hanno inscenato un flash mob contro la guerra e hanno vergato con della vernice rosa sulla strada la scritta Stop War. Una dimostrazione, come hanno spiegato, fatta a pochi metri dalla sede legale di Leonardo perché “bisogna impedire che si continuino a vendere armi e a fare soldi su una guerra sporca. Stop war, disarmo immediato”. ANSA

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