suicidio

Quel silenzio sulle quattro vigilesse suicide in meno di due anni

Quel silenzio sulle quattro vigilesse suicide in meno di due anni. Provate a pensare: prendere l’arma laddove è custodita, un comodino, un cassetto, un armadio, caricarla come se si fosse davanti a una minaccia imminente, come può accadere in servizio quando ci si trovi di fronte a un rapinatore armato, deciso a tutto, dal quale occorre difendersi per un potenziale pericolo alla propria e altrui integrità fisica, scarrellare la pistola, puntare la canna verso se stessi, cuore, testa, e poi spingere il dito sul grilletto, il proiettile che penetra le tue carni irrimediabilmente. Una sequenza di gesti che lascia il tempo di pensare a quello che si sta facendo, pertanto, almeno in quel preciso momento, voluta, ragionata, meditata, consapevole. Che quattro donne della polizia locale di Milano abbiano deciso di farla finita in meno di due anni, pone una serie di quesiti: Ci si era accorti del disagio? Si è fatto qualcosa per evitare che il disagio si trasformasse in tragedia? Vi erano state richieste d’aiuto che avrebbero potuto, se esaudite, evitare il peggio? Oltre a indagare sulle motivazioni personali che portano un individuo a compiere un gesto così profondo e totalizzante, in casi come questi, occorre comprendere quali siano le relazioni tra il suicidio e la professione che si svolge. Immaginiamo sempre che le persone in divisa siano forti, miticamente invincibili, eroiche, non sempre è così, la fragilità pervade tutti gli esseri umani, anche quelli in divisa. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione Governativa “CERCHIOBLU”, i suicidi tra gli operatori delle forze di polizia sono un fenomeno endemico e ben conosciuto. Nonostante ciò, pochi o nulli risultano essere gli interventi utili a fermare questa scia di sangue da autodistruzione. Un fenomeno che deve essere affrontato una volta per tutte, perché racconta di un disagio strisciante che non trova forma di attenuazione sui luoghi di lavoro. Senza voler fare analisi compiute che risultano assai difficili e complesse, ciò che voglio porre in evidenza è che il lavoro (che occupa un ampio spazio temporale della nostra vita quotidiana) è uno dei contesti in cui si attivano e si smorzano determinate tendenze, e ciò è strettamente correlato al tipo di condizione psicologica che si vivono proprio sui luoghi di lavoro. Soprattutto se si svolge una professione dove è facile che la tenuta psicologica sia sollecitata da eventi traumatici (coinvolgimento in un conflitto a fuoco, interventi su incidenti mortali con presenza di cadaveri, scontri fisici e verbali con persone riottose, etc.), da tensioni tra sottoposti e superiori (tipiche di professioni dove la gerarchia è notoriamente marcata), dallo svolgere orari diversi dal “normale”, che mettano in discussione un’ottimale gestione della famiglia (turni notturni, serali, sabati, domeniche o feste comandate), e molto altro ancora. A mio avviso è proprio sul luogo di lavoro che si potrebbe fare qualcosa per limitare questi fenomeni e, purtroppo, è proprio lì che, attualmente, mancano progetti e relativi supporti. Per le informazioni in mio possesso, almeno due delle vittime della polizia locale di Milano avevano palesato alcuni disagi di origine personale e lavorativa. Avevano chiesto aiuto ma nessuno si era preoccupato di tendere loro la mano. Indifferenza, menefreghismo, insensibilità? Non lo sappiamo, però una cosa è certa, bisogna fare chiarezza, e se per fare chiarezza su queste morti occorre una commissione d’inchiesta del comune di Milano, ben venga! Anche se, dalle dichiarazioni dell’assessore alla sicurezza della Regione Lombardia, Riccardo De Corato (che è anche consigliere comunale), la maggioranza che governa Milano sta cercando in ogni modo di boicottarla. Capisco che siamo in campagna elettorale, ma esigenze di chiarezza andrebbero perseguite sempre, come si sulo dire, senza se e senza ma…    

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Via Mauro Macchi: spunta l’ipotesi del suicidio

Gran parte degli elementi che investigatori e inquirenti hanno raccolto finora sul caso del ginecologo campano Stefano Ansaldi, trovato sgozzato quattro giorni fa vicino alla stazione Centrale di Milano, fanno ipotizzare un suicidio, anche se le indagini non sono concluse e si lavora per escludere definitivamente che si sia trattato di un omicidio. Tra gli elementi principali il fatto che le telecamere della zona non hanno ripreso persone fuggire, né i testi le hanno viste o sentito rumori di fuga. In più, il cellulare del medico, non trovato, era stato spento circa un’ora prima della morte. E l’uomo era in difficoltà finanziarie.

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Messo in cassa integrazione si suicida

Un 26enne di origini senegalesi ha aperto la finestra del bagno del suo appartamento, che si affaccia su un cortile interno, e si è gettato di sotto togliendosi la vita. E’ accaduto ieri sera, intorno alle 19.50 in via Pastorelli a Milano. Il 26enne era stato messo in cassa integrazione così come gli altri dipendenti di un negozio specializzato in prodotti alimentari in cui lavorava, e ora chiuso per via dell’emergenza coronavirus. Negozio che fa parte di una catena con sedi in tutta Italia. Il ragazzo era impiegato nel punto vendita da circa sette anni e aveva un contratto a tempo indeterminato. Poco tempo prima del tragico gesto aveva seguito un’attività di formazione online a distanza.

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Vigilante travolge motociclista e si spara

Travolge e uccide con la propria auto un motociclista, poi preso dallo sconforto si toglie la vita. E’ accaduto intorno alle quattro di questa mattina all’incrocio tra via Emilia e viale Piceno. A spararsi con la pistola d’ordinanza è stata una guardia giurata, di 26 anni. Probabilmente quando il giovane si è reso conto della gravità delle condizioni dell’investito, un 65enne, ha impugnato l’arma ed ha fatto fuoco. In seguito un passanteche  ha visto il motociclista riverso a terra incosciente si è avvicinato all’auto, dalla quale non scendeva nessuno, non potendo far altro che constatare il suicidio della guardia giurata. Sul posto, scattato l’allarme, sono intervenute diverse auto dei Carabinieri e due ambulanze. Per i due uomini non c’è però stato nulla da fare, entrambi sono morti poco dopo l’arrivo in ospedale.  

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Uomo muore suicida sotto un convoglio della M2

Questa mattina poco prima delle 10.30 una persona si è gettata sotto un treno della linea 2 della metropolitana alla stazione di Crescenzago. Sul posto vigili del fuoco, personale del 118 e polizia. La circolazione è stata sospesa tra Gobba e Udine e sono stati predisposti bus sostitutivi per collegare le stazioni della tratta sospesa, mentre i treni hanno continuano a viaggiare sul resto della linea. L’uomo, un trentunenne, che si è buttato sotto il treno ha riportato lesioni gravissime che ne hanno causato il decesso sul posto. Dalla visione dei filmati delle telecamere, la polizia ha appurato che si tratta di un suicidio.

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Metro bloccata per presunto tentato suicidio

Dalle ore 8:40 circa, a causa di un presunto tentato suicidio nella stazione di Famagosta, la circolazione della linea M2 è interrotta tra le stazioni di Cadorna e Abbiategrasso/Assago. L’Azienda è in attesa che i sanitari prestino soccorso alla persona e che le Autorità preposte svolgano tutte le attività necessarie per poter ripristinare il servizio. Atm ha istituito in superficie un collegamento sostitutivo con bus nella tratta interrotta e predisposto assistenti alla clientela che indicano ai passeggeri le modalità alternative di viaggio. Annunci in metropolitana e superficie, news sul sito, sul canale Twitter @Atm_informa e sui monitor presenti in banchina e in stazione.

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