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La fine della CGIL non è un atto improvviso, è un lento esaurirsi di significato.

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La fine della CGIL, o quantomeno la fine della sua funzione storica, sembra ormai un fatto compiuto. Il sindacato che un tempo incarnava la voce del lavoro e dei lavoratori italiani, oggi appare come un attore politico smarrito, impegnato più a lanciare proclami che a difendere concretamente i diritti di chi lavora. Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, ha abbandonato il terreno economico e contrattuale per spostarsi su quello ideologico e simbolico, trasformando il sindacato in un soggetto politico di opposizione al governo, più che in uno strumento di rappresentanza sociale. Il recente sciopero “per Gaza” ne è l’ennesima dimostrazione: un gesto tanto mediatico quanto sterile, che penalizza milioni di lavoratori e cittadini senza produrre alcun effetto reale sulla drammatica situazione in Medio Oriente. Dietro la facciata della solidarietà internazionale, si nasconde l’incapacità di affrontare le vere emergenze del lavoro italiano nella precarietà cronica, nel lavoro nero, nella mancanza di tutele nelle piccole imprese e nella desertificazione industriale. È difficile non vedere, in questa metamorfosi, il segno di una crisi strutturale. La CGIL è ormai un sindacato di pensionati, con un corpo militante sempre più anziano e sempre meno presente nei luoghi dove il conflitto sociale è più acceso. I giovani, i precari, gli autonomi, i lavoratori della logistica e dei servizi digitali, non si riconoscono più in una struttura novecentesca che parla un linguaggio distante dalla realtà contemporanea. La contrattazione collettiva si indebolisce, mentre il sindacato preferisce lo scontro politico alle soluzioni pragmatiche. Landini, da tempo, cerca visibilità attraverso battaglie simboliche e dichiarazioni roboanti. Ha recentemente accusato il presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni di non portare rispetto “a chi paga le tasse e lavora”. Ma il rispetto, semmai, dovrebbe pretenderlo chi, quei lavoratori, li rappresenta con onestà e coerenza, non chi, ne piega la causa a fini di propaganda. La retorica del “noi contro loro”, governo contro popolo, padroni contro operai, appartiene ai nostalgici di un’altra epoca. Oggi servirebbero strumenti nuovi, idee nuove ed una vera politica del lavoro capace di interpretare la complessità del mercato globale. Invece, la CGIL continua a inseguire fantasmi ideologici e piazze rabbiose, strizzando l’occhio ai soliti facinorosi che trasformano ogni manifestazione in una prova di forza. E a pagare, puntualmente, sono i cittadini: pendolari bloccati, scuole chiuse, servizi paralizzati. Il tutto in nome di un internazionalismo d’accatto che non aiuta né i lavoratori italiani né la popolazione di Gaza. Così muore un sindacato: non per mancanza di iscritti, ma per mancanza di senso. La CGIL, ridotta ad una eco lontana di se stessa, sembra ormai più interessata a fare opposizione politica che a negoziare contratti. E mentre Landini arringa le piazze, il mondo del lavoro reale, frammentato, precario ed invisibile, resta senza voce.

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