Mentre si parla di transizione ecologica e mobilità sostenibile, Roma sprofonda tra strade dissestate, lampioni spenti, piste ciclabili pericolose e una rete viaria soffocata. Una città eterna, ma sempre più in declino. Roma è una capitale che si spegne, letteralmente. Quartiere dopo quartiere, la città vive nell’oscurità a causa di un sistema di illuminazione pubblica che alterna lampioni accesi a tratti interi completamente al buio. Non si tratta di episodi sporadici: la discontinuità dell’illuminazione è diventata sistemica. Un giorno è il turno di una zona residenziale, il giorno dopo tocca a una trafficata arteria periferica. E quando il buio arriva, si porta dietro disagi alla circolazione, senso di insicurezza e un netto peggioramento della qualità urbana. La manutenzione degli impianti è, nella migliore delle ipotesi, reattiva. Nella peggiore, inesistente. L’efficienza energetica non può essere una scusa per lasciare interi quartieri abbandonati a se stessi ed un’illuminazione pubblica efficace è un requisito minimo per una città vivibile. Eppure Roma sembra averlo dimenticato. Al disastro dell’illuminazione si aggiunge quello, ancora più grave, della mobilità. La città ha assistito negli ultimi anni a un proliferare disordinato di piste ciclabili, in molti casi realizzate senza un piano organico e senza tener conto delle caratteristiche urbanistiche delle zone coinvolte. In nome della sostenibilità, concetto nobile, ma troppo spesso abusato, si sono ridotte carreggiate già congestionate, inserendo cordoli rigidi in prossimità di rotatorie e svincoli, proprio dove servirebbero visibilità e margini di manovra. Il risultato? Un caos assicurato, soprattutto, con l’inizio dell’anno scolastico e il rientro di massa dei cittadini in città. Il traffico, già di per sé ingestibile, sarà aggravato da strettoie artificiali che non migliorano la sicurezza dei ciclisti, ma, anzi, la compromettono, creando conflitti diretti con auto, bus, motocicli e monopattini. Non serve imporre ciclabilità a forza dove mancano le condizioni minime di sicurezza e convivenza, bensì serve pianificazione e non propaganda. Nel frattempo, le strade romane continuano a essere disseminate di buche, rattoppi, cantieri aperti e mai chiusi. La viabilità privata e pubblica è ostacolata quotidianamente da lavori scollegati tra loro, senza alcun coordinamento tra municipi, assessorati e aziende di servizio. I mezzi pubblici subiscono ritardi cronici, i cittadini rinunciano all’autobus per disperazione, e il traffico privato torna ad aumentare, alimentando un circolo vizioso che peggiora inquinamento, tempi di percorrenza e frustrazione collettiva. A ciò si somma la gestione del verde pubblico, che definire, approssimativa, è un eufemismo. Marciapiedi invasi da arbusti, rami che ostruiscono la visuale agli incroci, erba alta che nasconde segnaletica e semafori: la vegetazione urbana, non gestita, è diventata un ostacolo. E non solo per chi passeggia con una persona con disabilità, per un genitore con passeggino e per un anziano, ma, anche il semplice atto di camminare a Roma può trasformarsi in un percorso ad ostacoli. Tutto questo, mentre si moltiplicano gli annunci su “smart city”, rigenerazione urbana e investimenti per il Giubileo. In questo modo una città non è “intelligente” se non riesce nemmeno ad accendere le luci. Roma non ha bisogno di promesse roboanti né di piste ciclabili calate dall’alto. Ha bisogno di manutenzione ordinaria, visione tecnica e rispetto per i suoi cittadini. Un piano serio di illuminazione, strade sicure, segnaletica chiara, mezzi pubblici puntuali e spazi verdi curati, questo si, che è il vero progresso, non il maquillage elettorale a colpi di cantieri estivi. Roma merita di più di un restyling di facciata. Merita amministratori che conoscano la città, che ascoltino i cittadini e che tornino ad occuparsi delle fondamenta della vita urbana. Perché non c’è bellezza, non c’è innovazione e non c’è futuro senza la dignità delle cose semplici. Anche accendere un lampione può essere un atto politico. Ed, oggi, sarebbe già una rivoluzione.