Nome dell'autore: Luca Rampazzo

Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione.

Quanto costeranno gli inutili murales di via Civitavecchia?

La campagna elettorale è quel magico momento in cui gente mai vista per cinque anni si presenta a casa tua con tutte le promesse del mondo. La campagna elettorale della sinistra a Milano è quel terrificante momento in cui gente mai vista per dieci anni si presenta alla tua porta con una frase deflagrante: “Abbiamo una grande idea per rilanciare il quartiere”. Ovviamente, dopo anni di assenza, del quartiere questi non sanno nulla. E, altrettanto ovviamente, nulla sapendone, credono di aver capito l’essenza dei problemi e invariabilmente hanno grandi progetti. Progetti, manco a dirlo, cui nessuno aveva mai pensato. Anche perché per toccare determinate vette di dadaismo politico ci vuole tutta l’inconsapevolezza di chi dalla realtà ha divorziato anni fa. Via Civitavecchia ne è un perfetto esempio: assediata, talvolta letteralmente, dal degrado era riuscita a ottenere un grande successo: la pittura degli esterni. Siccome a farla è stata la sinistra, però, le testate d’angolo di queste case all’inglese erano rimaste grigie. E siccome a governare città e municipio è sempre la stessa parte politica, l’assenza di controlli ha portato a tag e graffiti. Come risolvere questo problema? Certo non con maggiore presenza di forze dell’ordine o telecamere. Ma manco per niente. Facciamo dei murales! Oh, che grande idea! All’inizio a qualcuno era piaciuta anche. Poi, però, è iniziata a girare una voce. Il costo di queste opere d’arte sarebbe di 180mila euro. Inserendo questa geniale iniziativa nei libri dello spreco. Ovviamente i proponenti sono liberi di smentire questa voce e nessuno ne sarebbe dispiaciuto, anzi probabilmente ne gioirebbero. Per cui se qualcuno volesse farlo lo accoglierei volentieri in un articolo cui dare massimo risalto. In caso contrario è pronta una raccolta firme per fermare lo scempio da parte degli inquilini delle case. Senza alcun politico coinvolto. Da queste parti è così: gente forte, indipendente, abituata a difendersi da sola. E no, a nulla sono valse le scuse addotte da alcuni benintenzionati. I murales, infatti, a loro detta renderebbero questa zona meta turistica. Questa è una teoria abbastanza fantasiosa da meritare una considerazione a parte. Via Civitavecchia è immersa nel verde. Se questo verde fosse curato e non lasciato in balia del crimine sarebbe di per sé una attrazione turistica. Se la scuola professionale a fianco alle casette fosse tenuta decentemente e non sembrasse un rudere sovietico accrescerebbe lo charme di questo angolo di Milano. Che davvero ha molto da raccontare. È una comunità con 70 anni di vita alle spalle. Quando nascerà il coworking in bambù per panda hipster il tema “casa nel bosco” aumenterà di intensità. E loro cosa vanno a proporre? Dei murales, e pure costosi parrebbe. Così, de botto, senza senso. Invece di curare, proteggere e ripulire il parco interno e renderlo di nuovo fruibile ai bambini. Invece di pattugliare il Parco Lambro. Invece di risistemare la scuola. I murales. Come attrazione turistica. Ecco, questa è la cifra di Sala e della sua maggioranza. Invece di sistemare il degrado ci dipingono sopra, sperando che la gente sia così distratta dalla folgorante arte contemporanea da non notare le foreste incolte di piante fortemente allergeniche nei cortili attorno, le siringhe nel parco, i tag sulla scuola e la folla di ubriachi violenti che li circonda nei fine settimana. Tu chiamala, se vuoi, ossessione per le periferie.

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MM continua a fallire nelle piccole cose

Una bella giornata di fine settembre, il cielo azzurro sopra. Un odore nauseante di morte tutto attorno. È il locale immondizia dell’83 di via Rizzoli. Milano. Tanto per ribadire che non siamo in un paese del terzo mondo. E la catasta di rifiuti che stiamo osservando, è là da giorni. Un’eterna promessa di rimozione che non li preoccupa minimamente. Sono il frutto di una pulizia a fondo di una casa che, invece di finire in ricicleria, occupano una colonna nel locale. Locale regno incontrastato di larve e vermi, che la mattina formano una linea continua dietro ai sacchi trasportati via. Uno schifo di proporzioni difficilmente immaginabili. Intorno scheletri di biciclette con festoni di ragnatele e uno spesso strato di polvere. Addirittura un motorino abbandonato da più di un decennio dichiarano gli inquilini. Ecco, questa la situazione delle case popolari. E la giunta, Maran in testa, ha il coraggio di parlare di mala gestione di Aler. La dignità, questa sconosciuta. Ma la situazione è più grave di quanto non si veda in superficie. In primis per le ovvie questioni igieniche. Ma poi per un problema generale di credibilità del gestore. Ma con quale coraggio insensato si possono fare due anni di aumento con le larve che accolgono chi deve buttare l’immondizia. Questo non è populismo è la norma ed umana decenza di rendersi conto di essere inadatti. E ovviamente non finisce qua. Mentre gli eredi morali di Greta Thunberg concionano di cappotti termici i balconi, i passaggi che scalvano i parcheggi al piano meno 1 e la facciata perdono pezzi. Ovunque. Sui balconi di sotto, su chi posteggia, su chi passeggia. E sono sempre più grandi. Questa è la classica situazione che passa come problema secondario finché qualcuno non si fa male. Dobbiamo aspettare la tragedia per intervenire? O almeno per una volta, almeno stavolta, avremo un intervento tempestivo? La risposta che vorremmo non sarà quella che avremo.

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Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata

Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata Le casette, singole, strette e alte. I tre gradini prima della porta d’ingresso. Il giallo vivace della facciata. C’è un angolo di Inghilterra a Milano, nell’ultimo lembo della città prima di via Rizzoli. Prima della Rizzoli, se parliamo di tempi. Perché queste case hanno visto espandersi la città. Erano qui, testimoni silenziose, quando il Corriere della Sera è arrivato, con le rotative pesanti e rumorose. E hanno visto la metropolitana sbucare dal terreno e correre sotto il sole. C’erano, quando, trent’anni dopo, sono arrivate altre case popolari. Insomma, sono piccoli e silenziosi testimoni di una città che è cambiata. Hanno visto il terrorismo, la droga, il parco Lambro passare molte crisi. Erano qui, silenziose, quando è arrivata la prima ondata migratoria. E sono state minacciate più volte di demolizione, sempre scampandola per un pelo. Oggi vivono uno strano limbo: sospese sul baratro della burocrazia di MM, mentre, tutto attorno, il quartiere cambia. Questo piccolo viaggio, senza pretese di inchiesta, è un omaggio e una denuncia. Un omaggio alle case e ai loro tenaci abitanti. E la denuncia delle condizioni in cui gli abitanti sono costretti a vivere. Il parco negato Nel cuore di queste casette a schiera c’è un parco per i bambini. In teoria. In pratica c’è un cane senza guinzaglio che sta facendo pipì sul cartello che vieta di portarci i cani, in quel parchetto. La legalità e questi luoghi si rispettano, ma cercano di evitarsi quando possibile. Un molosso abbia frenetico da un cortile. Attende impaziente il suo turno nel parco, che dovrebbe essergli proibito. Naturalmente è escluso che durante l’orario di scuola ci siano bambini. Ma non è l’unico momento in cui queste aree sono loro negate. Durante l’estate le bande che se lo contendono rendono la loro presenza un ricordo. A terra cocci di vetro. E siamo fortunati, dopo le lunghe e calde notti, di solito si trova di tutto. Dal biologico alle siringhe, passando per le bottiglie, le schegge di vetro e altre sostanze su cui è meglio soprassedere. Alle spalle del parco, con i suoi giochi vuoti, la facciata sfregiata di un istituto professionale. Dentro, un insegnante urla. Fuori, le urla diventano tag sui muri grigi. I ricoveri per i senza tetto Su entrambi i lati delle case a schiera, ci sono hotel di vita. Il primo, dal lato dell’Enotria, è ancora frequentato. Varia umanità sofferente entra ed esce dalla scatola di cemento, eterno oggetto di promesse mancate. Doveva essere un supermercato, poi un ufficio postale. Forse sarà interessata dal mega progetto di riqualificazione dell’area Rizzoli, quello che vedrà sorgere un mega coworking in bambù per Panda hipster. Forse resterà così, un parallelepipedo in cemento sperduto nel verde. Testimone che di buone intenzioni è lastricato il degrado di Milano. Sul lato opposto il ricovero per senza tetto era addirittura nel perimetro dell’istituto professionale. Era perché è qualche anno che non si vedono più ospiti. Forse è stata chiusa. Letteralmente, nel senso di murata. Una ben strana scuola, ma qui la stranezza è l’unica cosa normale. I ricoveri per inquilini In mezzo ai due hotel di vita, la vita degli abitanti di queste case popolari. Una vita che in sette decenni ha visto momenti molto peggiori, ma anche decisamente migliori. Questo è il giardino segreto di Milano, dove si sta combattendo una difficile battaglia per la riqualificazione da una parte e si decide anche di lasciare casi troppo difficili per esseri lasciati in contesti più grandi. Come nel caso dell’accumulatrice seriale. Le case internamente sono piccole, ma confortevoli. Sono anche dotate di un piccolo giardino. Giardino che, se non curato (e le case abbandonate ci sono e non sono poche), diventa ricovero di piante talvolta anche velenose. Sicuramente allergeniche. Che conquistano ogni centimetro lasciato libero. Qui siamo alla frontiera, l’uomo è solo un turista. Il verde riconquista ogni metro incustodito. Ricordandoci che, alla fine, sul pianeta non lasceremo impronte durature. Oltre la frontiera Oltre l’ultima fila di case c’è il Parco Lambro, un posto incantevole. Fino al venerdì pomeriggio, nella bella stagione. Poi, la fonte di un incubo: ubriachi, violenti, armati e senza paura alcuna. Escono soli, in gruppi, in branchi dall’oscurità. E non vanno incrociati. Farlo non porta sfortuna, ma un ricovero garantito dai venti giorni in su. Le storie che si raccontano sono di violenza, cieca e senza senso. File di macchine vandalizzate per lanciare un messaggio a chiunque chieda, anche gentilmente, di riavere la quiete notturna perduta. E polizia assente durante questi fine settimana alcolici che privano una comunità della pace e della sicurezza. I furgoni con i gazebo e l’equipaggiamento da barbecue passano di qua. Nessuno vede, nessuno è sicuro. L’estate qui è un caldo incubo che solo le piogge autunnali mitigano. Don Mazzi aveva fatto molto per rendere migliore la zona, ma nemmeno il suo futuro è sicuro. Quello è sicuro è il ritorno delle carovane dei nomadi. Alcuni migliori, altri peggiori. Tutti comunque parte del grande mistero: riusciremo a difendere il poco che abbiamo. Questo è lo spirito dei pionieri della periferia. Un grande romanzo di resistenza, in cui la città di te se ne frega con precisione chirurgica. E la rivedi solo quando deve difendere regole arcaiche o incassare bollette arretrate. Oppure, va detto, portare un fiore dopo anni di maltrattamenti: la casa dell’acqua. La casa dell’acqua è un bel gesto, molto apprezzato. Con la pavimentazione nuova tutto attorno. Oh, sì, molto apprezzato. Come la pace prima della tempesta. Una mano di colore Ecco, in campagna elettorale la maggioranza che governa la città qui poteva fare e promettere molto. Telecamere nel parchetto, per dissuadere i malfattori a due zampe. Più controlli, per non lasciare soli gli inquilini malati e i loro vicini che da anni la notte non dormono. La ripulitura dei giardini sopraffatti dalla vegetazione, salubre o insalubre. Ma di tutte queste cose non si sarebbe accorto nessuno. E quindi, idea geniale, si faranno dei murales sulle testate di fila. Utilità? Ovviamente nessuna. Ma la sola casetta dell’acqua

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Quattro domande per il Presidente di MM Dragone

Abbiamo appreso da un post Facebook del candidato al Consiglio Comunale della lista Riformisti per Sala Carmine Abbagnale che il Presidente di MM Simone Dragone avrebbe preso parte ad un sopralluogo insieme a lui ed al consigliere uscente del Gruppo Misto Nanni nelle case popolari di via Creta, Municipio 7. Il fatto è di per sé problematico. Per questo abbiamo atteso sette giorni per darvene conto. Abbiamo fatto le verifiche di rito e ora passiamo la parola al Consigliere di Municipio 7 Franco Vassallo, candidato in Comune con la lista Milano Popolare, nonché Presidente della Commissione Casa, che la vicenda di quelle case la segue da anni: “Prima di tutto, data la mia indole, voglio essere contento. Dopo anni di inutili appelli ed inviti andati a vuoto, finalmente il vertice di MM è andato in via Creta. Ci arriva dopo articoli, email e pure un servizio televisivo. Purtroppo ci arriva in una modalità che temo non sia la più idonea e che, temo, vada stigmatizzata. Una premessa: con il Presidente Dragone ho avuto diversi scambi di mail. E nell’ultimo l’ho esortato alla prudenza nei rapporti con la politica. L’ho fatto da Consigliere di Municipio, perchè ho di lui profonda stima, ma ero e sono convinto che certi argomenti vadano trattati con estrema cura. Ecco, quindi, che non lancerò accuse, come sarei nel mio diritto a fare, per quella visita. Ma farò delle domande. La gravità della situazione mi impone di farle pubblicamente, sperando in una altrettanto pubblica risposta. 1. Era opportuno, Presidente, recarsi (dopo anni di inviti) a visitare le case di via Creta insieme a due candidati alle elezioni? 2. Era opportuno, Presidente, farsi fotografare a fianco ai due summenzionati mentre tenevano quello che dalle foto appare come un comizio? 3. Era opportuno, Presidente, andarci dopo non aver mai accettato di recarvisi con il Presidente della Commissione Casa del Municipio, cioè il soggetto istituzionale preposto alla risoluzione dei problemi relativi alle case popolari? 4. Era opportuno, Presidente, unire una visita istituzionale a un evento politico? Per chiarezza: entrambi gli eventi sono ovviamente legittimi. La loro unione, Presidente, la ritiene opportuna? Nella eventualità che la risposta sia sì a tutte le domande, Le rinnovo, stavolta pubblicamente l’invito a recarsi con me in via Tofano 3 a ispezionare lo sversamento della fognatura, presente da quattro anni, con annesso rischio biologico (come riportano i cittadini) e sicuro tanfo. Sono certo non mancherà di cogliere tale opportunità. Qualora, invece, dovesse riscontrare che quanto avvenuto lunedì 13 settembre opportuno non lo fosse, mi aspetto una dichiarazione pubblica in tal senso. Ed una riflessione profonda sul proseguimento del suo mandato. Per quanto breve tale proseguimento possa essere, visto lo smembramento di MM che Sala ha in mente. E che difficilmente risparmierà il vertice. A prescindere dal numero di sopralluoghi e dalla vicinanza, vera o presunta, con taluni candidati.”

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Sala ammette che MM ha fallito

Prima o poi doveva succedere. Ve lo ha detto più volte Franco Vassallo, candidato in Comune con Milano Popolare, da queste pagine: MM ha fallito nella sua missione storica. Ed è ora che smetta di amministrare le case del Comune. E stavolta persino Sala, l’uomo delle decisioni irrevocabili, ha dovuto riconoscerlo. Solo che, come sempre, c’è la fregatura. Ce ne dà conto il Consigliere Vassallo: “Dopo essere stato ripreso più volte dai vertici di MM finalmente l’azionista unico di MM, il Comune di Milano, mi dà ragione. Sala ha riconosciuto che è venuto il momento che le case di proprietà del comune siano amministrate da una società che lo sappia fare e che si occupi solo di quello. È una bella soddisfazione. MM era un gioiello, quando si occupava di cose difficili come scavare gallerie per la metropolitana, ma faceva solo quello. Adesso è un ibrido che non ha più anima. E a farne le spese sono i cittadini. L’errore di Beppe, sempre lo stesso, è che per correggere l’errore vuole buttare altri soldi. Lui è così, i problemi li affronta tutti nello stesso modo: annegandoli nei soldi dei milanesi. E questa tattica profondamente inefficiente, talvolta è pure dannosa. Per esempio in questo caso. Una terza società, costituita dalla fusione (che non avverrà mai) tra MM e Aler Milano, infatti, erediterebbe tutti i problemi dei genitori e non avrebbe nessuna delle soluzioni necessarie. E soprattutto regalerebbe agli inquilini due anni almeno di caos, in cui capire chi chiamare per risolvere il problema sarebbe impossibile. Il tutto per non voler riconoscere che esiste una soluzione più semplice, lineare e realizzabile in pochi mesi. MM potrebbe essere incorporata da Aler. Lasciando in carico al Comune il management, di cui Aler, e soprattutto gli inquilini, non avrebbero alcun bisogno, e spostando i dipendenti utili alla Regione. A quel punto non si entrerebbe certo nell’epoca dell’oro, ma almeno a gestire le case popolari tornerebbero degli esseri umani al posto degli algoritmi. Insomma, Sala non può dichiarare in campagna elettorale il totale fallimento di MM, ma per il dopo possiamo sperare in una soluzione intelligente. Sempre, ovviamente, che la sinistra non rivinca. Altrimenti non cambierà mai nulla”.

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Storia dell’ennesima umiliazione di MM

Non sarà MM a costruire, in cordata con altri, il padiglione Italia a Dubai per l’expo del prossimo anno. Il Consiglio di Stato ha bocciato il ricorso contro la decisione di Invitalia, gestita da Arcuri, di escludere la cordata di imprese in cui si trovava anche MM per il conflitto di interessi di un suo ingegnere che aveva rapporti commerciali con un membro della commissione aggiudicatrice. Tutto questo in che modo impatta sulla città e la nostra vita? Ce lo spiega il candidato in Comune e in Municipio 7 con Milano Popolare Franco Vassallo: “Un tempo, le partecipate erano il fiore all’occhiello di Milano. Parliamo della Milano di Albertini, la Grande Milano, e prima ancora, nonostante gli scandali, anche nella Prima Repubblica. Erano un vanto in Italia: efficienti, con personale motivato e orgoglioso del ruolo e della funzione svolta. Insomma, un’eccellenza in cui c’era la consapevolezza del ruolo svolto e la costante concorrenza col privato per fare meglio, sempre al servizio dei cittadini. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un deterioramento di tutto questo. Ed MM ne è stata la vittima più eccellente. Come mai non ci si è accorti di quell’ingranaggio inceppato? È umano, quando tutta la città, in pratica, gravita sulle tue spalle. MM, ricordiamolo, sta per Metropolitane Milanesi. Ma non si riferisce al traffico veicolare, solo alla costruzione e manutenzione della rete. MM ha costruito, letteralmente, il reticolo di gallerie in cui viaggia la metropolitana. Poi si è deciso, e secondo me non è stato il massimo, di accorpare il servizio idrico. In ogni caso, le due attività erano affini, per servizio idrico anche qui si intende la parte dell’acquedotto: tubi, per capirci. Da lì in poi, però, è passato il principio che se scaviamo bene, tutto il resto ci verrà benissimo. Ed MM è diventata anche gestore delle case popolari e dall’anno prossimo ristrutturerà scuole e raccoglierà le foglie. Ormai manca solo che si metta a vendere calzini alle fermate della metro e poi le ha fatte tutte. In questo clima si è deciso che costruire uno stand a Dubai era una buona idea. E nel marasma nessuno ha controllato, o poteva controllare, tutti i conflitti di interesse. Non è una storia nuova, purtroppo, nel mondo degli appalti Milanesi. Di sicuro la figuraccia che ne risulta è epocale e stimola una riflessione: non è il caso di ritornare a semplificare? Nel mio programma c’è un rilancio dell’esperienza e delle competenze delle partecipate. E questo rilancio parte proprio dal dire che ognuno dovrebbe fare quello che sa fare. MM non sa nulla dello sfalcio dell’erba. Ed è inutile promettere assunzioni a destra e a manca. MM deve tornare a concentrarsi sugli scavi e sulla manutenzione dei medesimi che sa fare davvero bene. Il resto lasciamolo a chi sa farlo di mestiere, vale per la ristrutturazione delle scuole, vale per l’Expo di Dubai”.

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