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Niguarda: curiamo tutti! Non ascoltate le fake-news

“Non è vero che lasciamo morire i pazienti, non è vero che non intubiamo i pazienti anziani, non è vero che scegliamo chi curare in base all’età e non è vero che le terapie intensive sono piene di giovani, la percentuale di giovani nelle terapie intensive è bassa“: in un video caricato sul canale You Tube dell’ospedale Niguarda il Professor Roberto Fumagalli, Direttore del Dipartimento di Anestesia e Rianimazione, fa chiarezza sulla situazione nei reparti ed invita ad affidarsi solo alle fonti d’informazione ufficiali. “Nonostante il nostro enorme impegno in questi giorni sono girati messaggi, anche audio, allarmanti, sbagliati, che descrivono una situazione che non corrisponde al vero” ha detto Fumagalli, dopo che nei giorni scorsi sono circolati audio su WhatsApp che descrivevano scenari in cui i medici sarebbero costretti a scegliere chi curare. “Vi chiedo di non contribuire alla diffusione di questi messaggi e di affidarvi solo all’informazione qualificata” è l’appello di Fumagalli.  

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l’Ospedale di Niguarda denuncia diffusori di fake-news sul coronavirus

La Polizia di Stato ha ricevuto una denuncia/querela da parte del Direttore Generale dell’A.S.S.T. Niguarda in cui lo stesso ha segnalato la circolazione, tramite i social network, di due messaggi audio falsi riferiti all’emergenza sanitaria Covid-19. Gli agenti del posto di Polizia presso l’Ospedale Niguarda, in servizio presso il Commissariato  Greco Turro, hanno, quindi, trasmesso la querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano. In particolare, in un messaggio vocale “whatsapp” della durata di 5 minuti e 26 secondi, registrato da una sedicente cardiologa presso una terapia intensiva a Milano, la donna, qualificatasi con il nome di Martina, riporta notizie circa la gestione dell’emergenza sanitaria “Covid-19” all’interno dell’ASST Niguarda, “suscettibili di destare allarme sociale nei destinatari”. Anche in un secondo messaggio vocale “whatsapp” registrato da un soggetto ignoto, della durata complessiva di “2 min. 15 sec.”, l’autore riporta false notizie circa la gestione dell’emergenza sanitaria “Covid-19” all’interno dell’A.S.S.T. Niguarda. Quest’ultimo audio era stato condiviso anche da alcune testate giornalistiche sui rispettivi siti online. Come riferito dal Direttore Generale “le voci narranti rappresentano una situazione sanitaria non supportata da alcun dato reale e oggetto di una libera interpretazione personale che configura ipotesi di procurato allarme; tali messaggi concorrono drammaticamente ad aggravare una situazione emergenziale che necessita di una corretta e coerente gestione delle informazioni”. La Questura di Milano invita i cittadini a cestinare e a non divulgare messaggi allarmistici che non provengano dalle Istituzioni e dalla Polizia di Stato tramite i propri canali web e sociali.  

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A Niguarda due cinesi febbricitanti

Indossavano le mascherine e hanno fermato una pattuglia della Polizia Locale per chiedere informazioni su come comportarsi visto che erano appena rientrati dalla Cina Passando per la Russia così, nonostante dicessero di sentirsi bene, gli agenti hanno deciso di chiamare i sanitari del 118 per fare le verifiche del caso. Purtroppo l’uomo e la donna cinesi così bene non stavano visto che ad entrambi è stata riscontrata una febbre superiore ai 38° e ora sono ricoverati all’Ospedale di Niguarda, dove sono stati sottoposti a tampone per il coronavirus. E’ successo ieri in via Livigno e non è ancora stato comunicato l’esito delle verifiche di laboratorio. Nel frattempo però è stato necessario sospendere dal servizio anche i due Agenti e, anche se si spera siano stati protetti dalle mascherine indossate dai cinesi, se questi risulteranno positivi, saranno a loro volta sottoposti al test e isolati per il tempo necessario a vedere se svilupperanno la malattia.  

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Sette anni di feriti libici negli ospedali italiani

Sette anni di feriti libici negli ospedali italiani. Oggi se ne torna a parlare per l’accoltellamento tra alcuni di loro, ma è almeno dal 2013 che l’Italia accoglie nei propri ospedali i feriti della guerra libica. Un business basato sul gran numero di feriti e su un ricco fondo stanziato allora da ciò che rimaneva dello Stato libico proprio a questo scopo: la Libia pagava e gli ospedali italiani curavano raccogliendo risorse fresche sempre utili visti i tempi di crisi economica. E si parlava i soldi veri: la media nei primi anni dell’accordo variava dai dieci ai ventimila euro a seconda della gravità delle ferite. Non sappiamo di preciso quanti siano stati accolti nelle strutture italiane, ma di certo è che la Grecia (i greci erano l’altro Stato che si era buttato a pesce sull’affare)  nel 2013 ne aveva già accolti 1500. Essendo l’Italia più grande è facile che si parli di cifre più consistenti. Però, in modo tipicamente italiano, sulla questione vige il massimo riserbo e dunque si moltiplicano gli interrogativi sul tema. Anche un consigliere regionale del Movimento 5 Stelle, Marco Fumagalli, ha provato a chiedere le cifre esatte attuali, ma gli è stato risposto che c’è un tema di privacy. Eppure i dubbi di Fumagalli restano: quanti sono i feriti libici? Chi ha controllato, se controllo c’è stato su chi fossero? Non è che l’Italia ha ospitato qualche criminale di guerra senza dire niente a nessuno? O qualche macellaio che però al momento è alleato nel braccio di ferro col burattino Haftar? I dubbi si moltiplicano in epoca di “prima gli italiani”: non risulta da nessuna statistica che gli ospedali italiani abbiano una sovrabbondanza di letti o spazi per i pazienti, eppure si trova spazio per i militari di altre nazioni? Salvini, Meloni, ma anche tutti gli altri si sono interessati della questione? Perché ancora prima dei porti chiusi o aperti per gli italiani è prioritario potersi curare. Sé e i propri cari. Quindi se i posti mancano per un buon motivo possono stringere i denti, ma se c’è carenza perché si fanno affari con Stati in guerra forse è il caso di informarne i cittadini. Questo business potrebbe anche essere uno dei motivi per i quali lo Stato italiano mantiene alcuni rapporti privilegiati in Libia, ma anche in questo caso non è più il caso di nasconderlo. Sembra dunque arrivato il momento in cui un faro si deve accendere su tutta la faccenda, affinché non resti nessuna ombra su questi sette anni di feriti libici negli ospedali italiani. Partecipa al sondaggio Per quale partito voterai alle elezioni amministrative di Milano  VOTA

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La Polizia Penitenziaria sventa evasione da niguarda

Gli agenti della Polizia Penitenziaria hanno sventato l’evasione di un detenuto dal reparto di Psichiatria 2 dell’ospedale Niguarda. Ne da’ notizia il segretario generale del sindacato Polizia Penitenziaria “S.P P.”, Aldo Di Giacomo, secondo il quale , il quale “è sempre più drammatica la realtà che vivono i Poliziotti Penitenziari in merito alla gestione di detenuti affetti da problematiche di natura psichiatrica“. “Nella giornata di ieri – ricostruisce il sindacato – un detenuto extracomunitario, approfittando dell’apertura delle porte del reparto ove è ricoverato da circa sei mesi, in occasione della visita dei parenti degli altri malati, ha cercato di darsi alla fuga, seminando il panico nel reparto“. “Solo il pronto intervento degli agenti addetti al controllo – scrive Di Giacomo – ha evitato che questi potesse riuscire nell’intento o arrecare danni a cose e persone al momento presenti“. Per Di Giacomo, “è impensabile che un detenuto possa restare ricoverato, come nel caso di specie, per quasi sei mesi in un ospedale civile. E’ assolutamente necessario rivedere, il collocamento dei detenuti affetti da problemi psichiatrici dopo la chiusura degli O.P.G.”. ANSA  

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A Niguarda le indagini puntano sull’omessa sorveglianza

A Niguarda le indagini puntano sull’omessa sorveglianza. Le indagini sulla morte del bambino in una scuola di Niguarda sembra si stiano concentrando sull’omessa sorveglianza. Dalle indagini era già emerso che una sedia era uno degli elementi essenziali individuati dagli investigatori: la sedia era appoggiata alla ringhiera da cui è precipitato il bimbo, ma all’arrivo delle forze dell’ordine non era più nello stesso posto ma in uno stanzino. Poi è stata individuata e ciò fa propendere per la buona fede di chi l’aveva rimossa. Intanto è emerso un altro elemento: la non conformità della ringhiere alla normativa comunale. La ringhiera è 104 centimetri, in regola quindi con le normative nazionali, ma in violazione di quelle comunali che prevedono un’altezza minima di 110 centimetri. Un elemento che potrebbe mettere nei guai Palazzo Marino perché il Comune potrebbe essere corresponsabile non avendo provveduto ad adeguarla a quanto stabilito da esso stesso: le normative nazionali di solito prevalgono su quelle locali, ma se le leggi locali possono prevalere se sono più restrittive. Però forse esiste una deroga comunale con cui il Comune si auto esenta dal rispetto del proprio regolamento. Ipotesi non così strana se si pensa a quante sono le scuole milanesi e che versano in condizioni pessime, a ogni pioggia infatti se ne devono chiudere parecchie: è facile dunque che non ci siano i fondi o le condizioni burocratiche per mettere a norma ogni singolo aspetto della sicurezza degli edifici scolastici. Nonostante questo, gli elementi raccolti fino ad ora dicono che a Niguarda le indagini puntano sull’omessa sorveglianza. Quel momento in cui la maestra avrebbe rimandato il bambino in classe da solo per riuscire a badare agli altri.  Dall’estrema sinistra milanese era già arrivato l’invito a stringersi intorno alle maestre: Paolo Limonta, a sua volta insegnante ma molto impegnato in politica, aveva diffuso un appello a tutto il quartiere per stringersi intorno alle maestre. Una difesa preventiva che a qualcuno aveva smosso un sopracciglio: di solito, notavano alcuni, si dà appoggio incondizionato alle famiglie. Ma sulla questione c’è, salvo qualche eccezione, molto rispetto sia per la piccola vittima che per maestre e le altri parti coinvolte: “In tanti mi hanno sollecitato ad intervenire sul caso del povero bambino morto cadendo a scuola …….. scusate ma non riesco e non voglio strumentalizzare questa immane tragedia” ha scritto Paola Frassinetti, deputata di Fratelli d’Italia.

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