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Scarcerazione imputati del clan Moccia: un processo bloccato da tre anni che mette a nudo il fallimento della giustizia italiana

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Il caso della scarcerazione di quindici imputati del clan Moccia rappresenta uno dei momenti più gravi e simbolici del fallimento della giustizia italiana recente. Dopo anni di indagini antimafia meticolose, intercettazioni ambientali, pedinamenti e raccolta di prove, gli sforzi della Direzione Distrettuale Antimafia e delle forze dell’ordine rischiano di dissolversi a causa dei ritardi processuali e delle inefficienze sistemiche. Il processo al clan Moccia era stato avviato con giudizio immediato nel luglio 2022. Tuttavia, pochi mesi dopo, il fascicolo è stato trasferito dal Tribunale di Napoli Nord a quello di Napoli, provocando un blocco che si è protratto per mesi. La fase dibattimentale si è aperta solo a maggio 2023, mentre i termini di custodia cautelare hanno continuato a decorrere. In base alla Legge, il primo grado di giudizio deve concludersi entro tre anni se gli imputati sono detenuti ed in caso contrario, la scarcerazione è automatica. Ed è ciò che è accaduto. Quindici imputati, ritenuti vicini al clan Moccia, sono stati scarcerati in assenza di una sentenza. Un epilogo grave, ma ampiamente prevedibile, peraltro, già nel marzo del 2023 i pubblici ministeri avevano lanciato l’allarme, chiedendo una mossa accelerata del calendario processuale e l’introduzione di udienze straordinarie, peraltro, anche nei fine settimana. Le richieste sono rimaste inascoltate. A oggi, dopo 60 udienze e il coinvolgimento di 16 diversi giudici in appena 15 sedute, non è stata pronunciata alcuna sentenza. Gli errori del sistema sono molteplici tra l’assenza di continuità nel collegio giudicante, con una pianificazione inadeguata delle udienze, peraltro una sottovalutazione della decorrenza dei termini di custodia ed infine una comunicazione interna debole. Perciò ora la Procura ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame, sostenendo che i termini debbano decorrere dalla riassegnazione del fascicolo a Napoli e non dal primo provvedimento del 2022. L’udienza è fissata per l’8 settembre di quest’anno, il 2025, ma indipendentemente dall’esito, il danno all’immagine della giustizia penale è già profondo. Questo caso espone una vulnerabilità strutturale nella magistratura italiana con la mal gestione dei processi di criminalità organizzata. Se lo Stato è capace di indagare e arrestare, ma non di celebrare in tempi utili un processo equo e solido, allora il sistema entra in crisi. L’opinione pubblica perde fiducia, le vittime si sentono abbandonate e le mafie trovano nuovi spazi. Non è tempo di cercare capri espiatori, ma di affrontare con serietà una riforma della macchina giudiziaria. Perciò, quando la giustizia arriva troppo tardi, o non arriva affatto, non si tratta solo di un fallimento tecnico, bensì di una ferita aperta alla credibilità democratica del Paese.

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